Weekend a Cascia alla scoperta dei sapori dell’autunno

Paolo Aramini

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La Valnerina: l’Umbria più ricca, quella più saporita e gustosa, dove è nata l’antica arte della norcineria e dalle cui terre si ricava il prezioso tartufo nero apprezzato in tutto il mondo. Ma anche l’Umbria più verde e selvaggia, solcata da ripidi torrenti e da sempre coltivata per ricavarne inimitabili eccellenze gastronomiche, fra tutte il farro DOP di Monteleone di Spoleto, la Lenticchia di Castelluccio, lo Zafferano Purissimo di Cascia e la Roveja di Civita, presidio slowfood. Concedetevi un assaggio di Umbria perché questo è quello che agli umbri piace, perché questa è la nostra cultura. Ecco 3 sapori, tipicamente autunnali, da scoprire durante il vostro soggiorno in Umbria:

La Roveja di Civita, presidio SlowFood

Questa è la storia di alcuni piccoli semi colorati, di due donne tenaci e di un barattolo di vetro. Umbria, Civita di Cascia 1998: Silvana e Geltrude mentre riordinano la cantina della casa ricostruita dopo il terremoto del ’79, trovano un polveroso barattolo di vetro pieno di semi colorati. Sono rossi, verdi, marroni e neri, insieme a un foglietto sbiadito dal tempo con scritto a matita un nome misterioso: ”roveja”. Trattasi di un legume che sboccia sulle alture dell’Appennino Centrale, tra i proverbi degli alberi ed i misteri della montagna, per unirsi senza indugio al “bouquet” delle eccellenze gastronomiche umbre. Ed è proprio lo spirito selvaggio a rendere ancora più accattivante la roveja, piccolo ed eroico legume divenuto presidio Slow Food e sopravvissuto grazie a Silvana e Geltrude allo scorrere del tempo. Cosi’ nel 2006 la roveja, antico pisello selvatico, considerato quasi erba infestante, torna a fiorire in Valnerina.

La cicerchia

Le Lathyrus sativus, comunemente chiamate “cicerchie”, sono un legume catalogato nella famiglia delle Fabaceae. La loro diffusione fin dall’antichità èo dimostrate dai molti nomi che nel tempo e nei luoghi sono stati dati a questi importanti legumi: pisello d’erba, pisello indiano, veccia bianca, almorta, alverjón (in Spagna), guaya (in Etiopia) o khesari (in India), solo per citarne alcuni. Una grande diffusione dovuta soprattutto alla sua particolare capacità di resistenza in terreni poveri, condizioni climatiche difficili, al clima caldo, alla siccità e alle temperature basse. Proprio per queste ragioni questa coltura è particolarmente diffusa in Africa orientale e in Asia. Essa è presente anche in Europa seppure in zone circoscritte, come, ad esempio, alcune regioni del centro-sud Italia. Qui la sua produzione ha forti radici storiche e rappresenta una vera e propria tradizione. Per questo motivo le cicerchie prodotte nelle Marche, in Molise, Umbria, Lazio e Puglia hanno ottenuto dal Ministero il riconoscimento di Prodotto Agroalimentare Tradizionale italiano (PAT).

Il Farro Dop di Monteleone di Spoleto

Sotto il cielo dell Valnerina germogliano tre varietà principali di farro: il Triticum dicoccum – il “farro” per antonomasia-  il Triticum monococcum ed una terza specie, il Triticum spelta, detta anche ” falso farro”. Queste tre varietà, assieme ad altre meno note, derivano dal Triticum dicoccoides, appartenente all’ordine delle Gluminfore, famiglia delle Greminacee e sottofamiglia delle Ordee rappresentano un elemento imprescindibile tanto nelle pratiche rurale quanto nell’alimentazione degli antichi umbri. Presso i Latini il duro lavoro del contadino era comparato al combattimento del guerriero ed un raccolto abbondante veniva considerata un meritato premio al valore ed alla tenacia dell’agricoltore: un premio alla gloria. L’arcaica ricompensa con la quale si premiava il soldato distintosi in combattimento consisteva in una buona quantità di farro, detta adorea poichè tostata al forno (dal verbo audere, abbrustolire) secondo le antiche usanze dei contadini umbro – sabini.  L’ottimo  agricoltore ed il coraggioso soldato, dunque, venivano entrambi premiati con uno dei più antichi e sacri doni della Madre Terra: il farro.

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